HomeDREAMLa Repubblica (Italia) – Malawi, farmaci e micro-crediti, una ricetta italiana contro l’Aids
06
Mag
2006
06 - Mag - 2006



Imprese associazioni insieme per fermare i contagi

Dal nostro inviato
Francesca Caferri

LILONGWE -Il dottor Meguid ha le occhiaie di chi ha passato la notte in bianco ma risponde con pazienza alle domande delle infermiere e dei visitatori. Il suo camice immacolato e la cravatta rossa stonano fra le mura scrostate del corridoio d’ospedale dove parla. La scorsa notte questo quarantenne egiziano dall’aria elegante ha fatto nascere, con l’aiuto di un paio di infermiere, 23 bambini. Una piccola parte dei 12mila che ogni anno vedono la luce al Bottom hospital di Lilongwe dove il ginecologo gestisce il reparto maternità insieme a due colleghe.
Meguid non sa quanto vivranno quei 23 bambini, né le loro madri: “Succede spesso che dopo il parto le donne si ammalino, e in un paio di giorni muoiano senza che possiamo far nulla. Allora capiamo che erano sieropositive e che con tutta probabilità anche il bambino lo è. Ma è troppo tardi per aiutarle. E per impedire che il virus passi al neonato”. Per fermare la trasmissione basterebbe una terapia da seguire in gravidanza o una pillola al momento del parto: ma prima servono analisi, controlli, diagnosi. Quasi miraggi in Malati, dove il 15% della popolazione adulta ha contratto il virus dell’Hiv, il 17% delle madri sono sieropositive e ogni anno ci sono 85mila parti a rischio di trasmissione del virus. Di fronte a questi numeri la lotta del dottor Meguid contro l’Hiv sembra impossibile: «Le donne arrivano già con le contrazioni. Pochissime sanno se sono sieropositive. Facciamo nascere i bambini, ma non possiamo fare nulla per proteggerli dall’Aids».
E’ su una situazione drammatica come quella in cui operano il dottor Meguid e le sue due colleghe che scommettono Banca Intesa e la Fondazione Cariplo. L’idea è semplice e allo stesso tempo rivoluzionaria: un progetto di lungo periodo – il Project Malawi – per finanziare un approccio globale alla piaga dell’Aids che nel tempo si allarghi fino a coprire l’intero paese e i suoi 12 milioni di abitanti. Banca e fondazione ci mettono 9 milioni di euro solo per i primi tre anni, una serie di associazioni si prendono cura ognuna di un particolare aspetto della malattia e delle sue conseguenze sociali. La Comunità di Sant’Egidio si incarica di curare i sieropositivi e di bloccare la trasmissione madre-figlio, Save the children di sostenere le comunità che si prendono cura degli orfani rimasti soli perché la malattia ha ucciso i genitori, il Cisp di far ripartire con macro-prestiti l’economia delle comunità devastate dall’Aids gli scout di Magga e Sam delle campagne di prevenzione nelle scuole il progetto, varato un anno fa, raccoglie oggi i primi risultati: intorno ad esso già gira la speranza di migliaia di persone. Come Joanne
Eglen, 45 anni, de villaggio di Maliyana, che ha fatto posto in casa a una bambina orfana che oggi cresce accano ai suoi cinque figlie( è aiutata da Save the Children. O Chiyamiko Kazembe, 26 anni, che qualche mese fa era a letto coperta dalla piaghe e oggi si è messa l’abito della festa per incontrare gli stranieri in visita al centro Dream di Mtenga wa Tenga, dove ogni mese va a ritirare gratuitamente gli anti-retrovirali che le hanno consentito di tornare a una vita normale.
E’ questo centro sperduto nella campagna a un’ora dalla capitale, che forse meglio di tutto raccontala sfida di Project Malawi. Intorno non c’è quasi nulla. E’ l’Africa più profonda quella che vive e lotta qui intorno, dove la vita è attaccata a un raccolto, all’acqua che scende da cielo, o a una macchina che forse passerà per portare chi sta male al centro medico più vicino.

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