HomeDREAMMaputo, Mozambico – L’assemblea dei coordinatori al termine del IX Corso di Formazione DREAM
17
Dic
2006
17 - Dic - 2006



Ci sembra bello tornare sui lavori del IX Corso di Formazione panafricano DREAM tenutosi a Maputo lo scorso ottobre per rendere conto dello spirito con cui i corsisti hanno affrontato la presentazione teorica ed operativa del nostro programma. Si è registrato infatti non soltanto un grande interesse di carattere professionale nei confonti delle lezioni, bensì pure una comprensione profonda della particolarità dello sguardo rivolto al paziente che è tipica di tutti i centri DREAM in Africa.

Del resto, i nostri corsi di formazione sono ormai sì, certamente, un luogo alto di trasmissione di conoscenze relative all’aids ed alla sua terapia in un contesto quale quello africano, e però anche una sorta di forum in cui si condivide largamente quello che è lo spirito di DREAM, la sua caratteristica in fondo più innovativa ed umanizzante, ovvero la centralità della persona, del paziente, pur nel quadro di un approccio sempre scientifico alla malattia.

Il modulo per Coordinatori di centri (uno dei tre moduli di lavoro in cui è in genere suddiviso un nostro corso di formazione) è, in una prospettiva del genere, il luogo privilegiato in cui tali caratteristiche peculiari di DREAM vengono alla luce con particolare evidenza, soprattutto per il fatto che è il coordinatore, in un centro DREAM, che si occupa in prima persona dell’accettazione del malato, che instaura con lui, o con lei, un primo rapporto di comprensione e di fiducia.

A Maputo, alla sessione finale del modulo, c’è stato chi ha confessato di essersi inizialmente accostato al corso soltanto “come medico: il mio scopo era quello di una formazione puramente tecnica”. E però – così continuava – “ho scoperto e trovato molto di più!”. In effetti si respirava il senso come di una scoperta, la scoperta della possibilità di avere “una visione diversa. Grazie per averci insegnato – concludeva un’altra corsista – come si sente un malato e come stargli vicini, in modo professionale, ma anche umano e pieno di speranza”.

In molti hanno d’altronde sottolineato una certa sorpresa per un approccio si potrebbe dire originale, per quella che è stata definita “una individualizzazione delle cure, ovvero una forte volontà di attenzione a ciascuno, sia da un punto di vista medico che umano, un’attenzione che per certi versi non pensavo fosse possibile sperimentare in un centro di salute”. Ma questa sorpresa ha stupito positivamente, ha incoraggiato e dato speranza. Non è più – si diceva di conseguenza – un problema di sole “metodiche, ma di spirito”. In uno spirito nuovo si guarda diversamente a chi viene per la terapia. In uno spirito di grande attenzione al malato e ai suoi bisogni “nulla è impossibile e le difficoltà concrete (che pure sono tante) non si traducono in una resa”.

Guardare al malato con occhi diversi diventava così per molti una possibilità di comprensione maggiore della realtà in cui si opera, una comprensione che non è scontata, nemmeno in chi da tanto tempo si trova ad operare in Africa: “Per me partecipare a questo corso &eg

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