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L’impegno contro la povertà e le malattie in Africa
L’esperienza della Comunità di Sant’Egidio

26
Nov
2008
26 - Nov - 2008



Mai come nella nostra epoca il rapporto tra povertà e malattia si è fatto evidente: a fronte del grande progresso in campo medico scientifico cresce il numero di coloro che sono oppressi da patologie evitabili, per le quali è nota e teoricamente disponibile una cura. L’attesa di vita nei Paesi poveri è mediamente di 49 anni contro i 77 riscontrati nei Paesi occidentali. Nel pensare alla relazione tra fattori di povertà e malattia appare evidente come l’Africa costituisce il continente più colpito da emergenze sanitarie in cui intervenire. Dinanzi a questo quadro, la Comunità di Sant’Egidio si è mossa su molti fronti. In primis quello delle emergenze: si è intervenuti con aiuti in occasione di catastrofi naturali e non, alluvioni, siccità, terremoti, conflitti, in oltre 28 Paesi. E ancora, aiuti alimentari e medicine sono stati consegnati in Zimbabwe preda di una grave carestia così come negli ultimi anni in Malawi, in Mozambico, in Kenya, Burundi e altri Paesi.


Ma soprattutto l’Africa è l’epicentro planetario di tre pandemie – AIDS, malaria e tubercolosi – le cui conseguenze si sostanziano non solo in un inaccettabile tributo annuo in vite umane ma anche in un potente freno allo sviluppo. Al tempo stesso povertà, scarse risorse umane ed economiche e problemi intrinseci al continente favoriscono ed incrementano lo sviluppo di queste condizioni morbose inducendo la permanenza di un circuito vizioso da cui sembra difficile uscire. L’esempio della malaria è assai eloquente: dei circa 300 milioni di casi annui registrati nel mondo, oltre il 90% si verifica tuttora nella regione sub-sahariana, con un costo stimato per anno, in spese sanitarie e perdita di produttività, pari a 12 miliardi di dollari. Discorso analogo può essere fatto sul fronte della tubercolosi: una pandemia che ancora cresce nel mondo al ritmo di circa l’1% annuo e che vede oltre due miliardi di persone infettate dal microbatterio. Anche in questo caso l’Africa guida la classifica delle aree più colpite con circa il 29% del totale.


A complicare le cose è inoltre il fatto che la tubercolosi rappresenta la principale co-infezione in soggetti malati d’AIDS nel continente nero ed una, se non la prima, delle più importanti cause di morte in soggetti contagiati dal virus dell’HIV. Questo terzo elemento del quadro epidemico, è certamente il più recente e drammatico: oltre 25 milioni i contagiati. Ma soprattutto colpisce che il trend sia ancora caratterizzato da una marcata crescita: il recentissimo rapporto UNAIDS del 2006 rileva, infatti, come la differenza tra nuovi infetti e morti si mantenga ancora positiva per 1,8 milioni d’unità, 3,2 milioni le nuove infezioni e 2,4 milioni i decessi. L’impatto sociale ed economico ha dimensioni sconosciute alla storia umana recente: sono ormai 16 milioni gli orfani causati dall’AIDS. Lo stesso rapporto rileva inoltre che entro il 2020 verrà a mancare oltre il 30% della forza lavoro in quattro Paesi africani, mentre molti altri la vedranno diminuire del 10-20%. Il dato non può che ripercuotersi sui prodotti interni lordi, che, infatti, sono decurtati di circa due punti percentuali annui a causa della malattia.

 
Provando ad esaminare il quadro nel suo insieme, anche riguardo alle possibili risposte, la prima cosa che colpisce è che tutte e tre le patologie siano curabili, nel senso che, se non tutte guaribili, esse possono essere controllate da farmaci già a nostra disposizione. Se è vero, infatti, che ad oggi non si dispone di presidi terapeutici in grado d’eradicare il virus dal corpo umano, certamente il “cocktail” di antiretrovirali ha reso in Occidente l’AIDS una malattia cronica a lunga sopravvivenza. Per la malaria e la tubercolosi farmaci ed altre procedure e modalità preventive e curative sono disponibili da decenni.
La storia insegna che, ben prima dei farmaci e degli altri presidi sanitari, un approccio olistico di sostegno allo sviluppo, all’educazione ed all’istruzione, alle materiali e basilari condizioni di vita, quali la nutrizione e l’accesso a fonti idriche sicure, e la bonifica ambientale rappresentano elementi decisivi per la vittoria. Quindi una soluzione esclusivamente farmacologica e vaccinale delle odierne dominanti patologie, rappresenta un puro miraggio se si disgiungerà dalla lotta alla povertà e dallo sviluppo culturale, sociale ed economico delle popolazioni africane, e da un’intensa e radicale riproposizione dei sistemi sanitari e delle iniziative di sanità pubblica.

Il programma DREAM
Oggi sappiamo che tra le due condizioni – fame e infezione dal suddetto virus dell’HIV – esiste una forte sinergia. L’idea di proporre farmaci a popolazioni affamate senza tener conto delle loro carenze nutrizionali, appare pertanto assai discutibile. È in questo contesto che nasce il programma DREAM (Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrition – potenziamento delle risorse farmacologiche e non contro l’AIDS e la malnutrizione), disegnato e condotto dalla Comunità di Sant’Egidio proprio per contrastare l’emergenza dell’AIDS in territorio africano. DREAM si è proposto di impiantare e rendere possibile non solo la terapia antiretrovirale, ma anche tutto il complesso di misure e fattori che possono renderla possibile ed efficace: educazione alla salute dei pazienti, sostegno nutrizionale, diagnostica avanzata, formazione del personale. Sarebbe troppo lungo in questa sede approfondire ognuno di questi singoli temi, ma si cercherà di evidenziare che è tutto il sistema che deve funzionare intorno al paziente perché la cura abbia successo, per vincere la battaglia contro la malattia.


DREAM nasce nel 2002 in Mozambico, ma ad oggi è presente in dieci Paesi africani, oltre il Mozambico, è in Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea-Bissau, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Camerun e Angola. Circa 40mila sono le persone sieropositive assistite gratuitamente nei 24 day-hospital sparsi nei vari Paesi. Sono dodici i laboratori di biologia molecolare impiantati, circa 4mila i bambini nati sani e senza AIDS da madre sieropositiva, undici i corsi di formazione panafricani effettuati per circa 2500 professionisti della salute. Queste cifre dimostrano bene come l’AIDS non è invincibile. È possibile batterlo. È possibile far vincere la vita. Quali i punti di forza di questo programma? Uno su tutti, lavorare insieme, essere tanti. Persone del nord e del sud del mondo, specialisti e pazienti, laici e religiosi, volontari e professionisti, implementatori e donatori, governi e ONG. Questa unità è la forza di DREAM: ognuno ha il suo posto e il suo lavoro da fare davanti a questa terribile pandemia. In questa drammatica battaglia contro il virus nessuno è inutile, nessuno è marginale.

 
Il segreto del successo di DREAM è nel fatto di essere un programma con una sua anima. DREAM è radicato in valori spirituali ed umani. La prospettiva di DREAM è strettamente legata a quella di Sant’Egidio, lavorare per un nuovo mondo e per il nostro tempo, sentendo la responsabilità di costruire con audacia e pazienza nuove strade di collaborazione, partnership, che rappresentino una risposta concreta e fattibile ad un problema grande. È quest’anima, che ha permesso al programma DREAM di diventare un modello per altri, di essere replicato in vari Paesi.


L’approccio inclusivo, la partecipazione del paziente alle cure, la realizzazione di movimenti d’opinione, l’educazione sanitaria hanno rappresentato una vera risposta per entrare nel mondo della percezione della salute dell’uomo e della donna africani e intervenire in modo efficace. Resta fondamentale in quest’esperienza, l’aver coinvolto i pazienti in processi educativi e di cura. Appare evidente che il percorso terapeutico deve coincidere con un altro itinerario: si parte dalla malattia ma anche dall’emarginazione e dall’abbandono, dall’impossibilità di lavorare ed accudire la famiglia e dal senso di colpa. Si deve giungere ad una riconquista della salute ed insieme ad un riscatto sociale e culturale. Un riscatto perfino sul piano del lavoro: gli attivisti di DREAM ricevono anch’essi un adeguato training e sono regolarmente assunti e salariati.
Molte pazienti, ritrovate le forze, si fanno madri di tanti bambini, non solo dei propri figli, ma per altri bambini malati che affluiscono ai centri di cura. Spesso bambini che hanno già perduto i genitori a causa dell’AIDS e che per questo sono affidati a poveri nonni o a vicini distratti, che non sono in grado di aiutarli a curarsi. Le donne malate diventano come madri, passano nelle loro case più volte il giorno, gli somministrano le medicine, gli preparano da mangiare, si preoccupano di loro, con il senso che anche questi bambini fanno parte integrante della loro famiglia. È, direi, la famiglia di Dio.


Questa anima, questa filosofia nei confronti dell’AIDS, hanno portato la Comunità di Sant’Egidio ad un’assunzione di responsabilità, spesso condivisa con altri uomini e donne di fede incontrati in questi anni di cammino per le vie d’Africa. Tante sono le congregazioni religiose, i missionari e il clero locale con i quali si condivide l’anima e il progetto d’amore di Dio sul mondo. Anche se in posti diversi, si lavora insieme, con lo stesso spirito per il sogno di un’Africa senza AIDS. La rapida espansione di DREAM in questi quasi sei anni è dovuta, infatti, non solo ad una presenza capillare della Comunità in tanti Paesi africani, ma anche alla volontà di tante congregazioni religiose, ONG, laici, persone di buona volontà di affiancarsi in questa strategia di lotta al virus. Questa sinergia ha permesso di aumentare ogni giorno il numero dei malati africani che si possono raggiungere. È un contagio positivo tra quanti hanno la possibilità di moltiplicare l’efficacia di questa battaglia decisiva per il futuro dell’Africa.
Siamo convinti che la vittoria contro l’AIDS è possibile, com’è possibile affrontare ogni emergenza sanitaria ma il segreto della riuscita passa solo attraverso una grande unità d’intenti e in uno sforzo comune, sintonico. Nell’era della globalizzazione possiamo osservare facilmente come l’interdipendenza riguardi il commercio e l’ambiente, le fonti energetiche e il lavoro. Lo stesso ci sembra debba valere per la salute e la cooperazione: i risultati dei nostri sforzi dipenderanno in larga misura dalla nostra capacità di collaborare nel lungo termine.
Riapriremo, così, un futuro importante per l’Africa e tanti paesi del Sud del mondo e insieme vinceremo fame e malattia.

PAOLA GERMANO
Dal 2001, è Coordinatrice del Programma DREAM (Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutriion) della Comunità di S. Egidio per la cura dell’AIDS in Africa. Ha una lunga esperienza nella cura e assistenza dei malati di AIDS in Italia. Dal 1989 lavora presso l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma.

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