«Accesso per tutti alle terapie. Questa è la via per prevenire e combattere le infezioni da Hiv. E questo è quello che ha detto il papa». Leonardo Palombi, responsabile del progetto «Dream» (anti-aids) della comunità di Sant’Egidio, dopo sei anni di esperienza sul campo, non ci sta a ridurre la questione della lotta all’Aids a una faccenda di preservativi. Perché, spiega, «di fronte alle dimensioni della catastrofe è una ridicola semplificazione ideologica». I numeri dell’emergenza però fanno paura. L’Oms conta 42 milioni di contagi nel mondo, per più del 60 per cento concentrati nell’Africa sub sahariana, oltre 4 milioni di nuove infezioni l’anno e tre milioni di decessi. Davvero il profilattico non serve? «Il punto è che siamo arrivati a questi numeri proprio perché per vent’anni si è pensato di fare prevenzione solo attraverso i condom. Ed è stato un fallimento. Da qualche anno, invece, anche l’Oms, che nei paesi in via di sviluppo ha politiche di largo uso dei preservativi, ha riconosciuto che senza accesso alle terapie farmacologiche non se ne può uscire». Farmaci anche come strumento di prevenzione? «Sì, perché le terapie riducono la carica infettiva. Tanto che in Europa occidentale e negli Stati Uniti, dove circa il 95 per cento dei malati è in cura, i nuovi casi calano costantemente del 3 per cento annuo. In Europa orientale, invece, nonostante il libero accesso ai condom, non certo difficili da reperire, le infezioni sono in crescita del 14 per cento. Dati che costituiscono, se così possiamo dire, due prove regina». Tra le vittime ci sono però milioni di bambini. E sempre l’Oms afferma che in Africa nel 2010 un giovane su tre morirà prima di avere compiuto trent’anni». «Soltanto in Africa tra i bambini si sono 350mila nuovi casi l’anno. Ma sono infezioni che il condom non avrebbe evitato. Al contrario serve la triterapia per evitare il contagio madre figlio, quella che applichiamo in Europa con un successo del cento per cento».(n.a)