HomeDREAMConakry, Guinea – La benedizione del centro DREAM si rivela più forte della paura e della rassegnazione che circondano la malattia
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Nov
2006
01 - Nov - 2006



A Conakry, in Guinea, inizia a cedere il muro di paura e di rassegnazione che la malattia crea abitualmente attorno a chi è colpito dall’AIDS.

Un gruppo di donne malate che frequenta il nostro centro, una ventina circa, ha cominciato da qualche tempo a riunirsi una volta la settimana per parlare della propria personale esperienza e confrontarla con quella delle altre. Si fa strada tra queste donne un sentimento forte di solidarietà e di amicizia tra persone che hanno vissuto tutte, sia pure ognuna con accenti diversi, una sofferenza dovuta, prima ancora che alla malattia, alla solitudine ed alla stigmatizzazione che da quella malattia derivano. Le nostre pazienti scoprono d’altronde di avere in comune qualcosa di più della speranza di star meglio e di trovarsi tra le mani un coraggio nuovo, che nasce da una ritrovata forza fisica, dal miglioramento vissuto nel proprio corpo o visto in quello dei loro bambini in cura con DREAM, ma anche dal senso di aver ricevuto un dono grande che si può trasmettere ad altri, vincendo la rassegnazione e lo scoraggiamento.

 
“Lo ieri e l’oggi non sono la stessa cosa. La sofferenza di ieri non c’è più”, ha detto Fanta. “Senza di voi sarebbe davvero andata a finire male. Questa malattia, se non hai soldi, è terribile: io non riuscivo nemmeno più a camminare. Ora ho fiducia in Dio e in voi, per sempre”. La malattia aveva dato a Fanta diversi problemi neurologici, i suoi avevano cominciato a dire che stava impazzendo e avevano finito per farla rinchiudere nel “cabano” (così la gente di Conakry chiama il reparto di psichiatria dell’ospedale della città). Ora Fanta sta bene e viene alle riunioni col suo bambino, Muhammad.

Alla riunione la storia dell’una si intreccia con quella delle altre: ci si ricorda di quando si era insieme all’ospedale, con i figli malati, senza che nessuno spiegasse mai nulla (“Il mio bambino era ricoverato e mi hanno detto: ‘avete la stessa malattia’, e basta. E’ stato solo quando sono arrivata qui che il dr. Pierre mi ha spiegato che avevo l’AIDS”, racconta Aicha); di come si fosse fatta insieme la strada che dall’ospedale porta al centro DREAM (i due luoghi sono molto vicini tra di loro); di come si sia vista progressivamente migliorare la propria salute e quella dei propri figli. Molti momenti si ricordano con precisione: “Era un sabato, il 2 dicembre, quando ho saputo di essere sieropositiva. Mio marito me lo ha detto sette anni dopo averlo saputo dai medici di Donka”, racconta Mariame, che oggi ha una bambina nata nel programma di prevenzione verticale.

 
D’altra parte alla riunione si approfondiscono le conoscenze di ciascuna, si trova il coraggio di fare tante domande, si capisce meglio come avviene il contagio e soprattutto come non avviene, come sia cioè possibile vivere senza l’incubo di contagiare i familiari, i figli, le sorelle. Molte donne hanno sofferto proprio per il silenzio o l’abbandono da parte dei familiari.

 
Alla disperazione si è sostituito dapprima lo stupore di trovare a DREAM gente un po’ particolare: “Gente che aiuta a motivo di Dio. Qui il dottore si arrabbia per il tuo bene se non vieni all’appuntamento: sembra quasi che sia il dottore stesso ad essere malato per quanto se la prende a

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