HomeDREAMTestimonianza di Jane Mphande alla cerimonia di apertura del 12° corso DREAM panafricano, in Malawi
26
Feb
2008
26 - Feb - 2008



Prima di tutto vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio che mi ha dato l’opportunità di parlare oggi a nome dei miei amici attivisti, per me, stare di fronte a voi delegati è una rara opportunità e di questo vi sono molto grata.
Per cominciare vorrei dire che il mio nome è Jannie Mphande, ho 34 anni e sono vedova. Ho una figlia di 14 anni, ma vivono con me anche altri 5 parenti. Mi sono sposata nel 1992. Mio marito ha cominciato a stare male alla fine del 2000. Siamo andati al Malawi AIDS Counselling Resource Organization (MACRO) e siamo risultati entrambi positivi al test, sfortunatamente mio marito è deceduto nel 2004 di polmonite.

Dopo la morte di mio marito, la vita è diventata dura, mi sono dovuta trasferire nella casa che mio marito aveva comprato per noi, ma era ancora in costruzione.
Verso la fine del 2005 mi sono ammalata gravemente e per questo ho dovuto dare le dimissioni alla scuola privata in cui lavoravo come maestra. Sapevo che, anche se le mie condizioni fossero migliorate, il mio superiore mi avrebbe licenziata.

Sono rimasta a casa senza avere niente da fare, andavo molto spesso in ospedale, pensavo che sarei morta e mi tornavano in mente le parole che mi aveva detto il miglior amico di mio marito:
“Perche’ non torni a casa nel tuo villaggio? Stai perdendo tempo a stare in città, senza un lavoro e soprattutto non hai soldi, i bambini stanno soffrendo, vendi casa tua” .“Si sa che quando muore il marito anche la moglie deve morire!”

Il mio vicino di casa, che caso vuole era un paziente di Dream, era preoccupato per la mia malattia e mi ha proposto di andare insieme al centro Dream. Era la prima volta che ne sentivo parlare. Quando sono arrivata al centro Dream ho compreso che c’era ancora speranza per me, ricordo bene l’accoglienza familiare che ho ricevuto dallo staff italiano che mi chiese:
“Come ti trovi nella tua nuova famiglia?” e io ho risposto stupita “Che famiglia?” e lei: “Dream!” ed io: “E’ molto bello, ma non mi sembra vero!”, “Cosa intendi dire?” ha continuato ed io: “Non ho mai visto un ospedale così bello per i malati di HIV”.
All’appuntamento successivo mi è stato offerto un lavoro come attivista.
Dream è stata una benedizione di Dio, perché, quando ci sono andata le persone che vi lavorano erano, e lo sono ancora, interessate ad aiutarmi e a prendersi cura di me. Lavorare come attivista è stato il momento piu’felice, per me. Dream ha salvato la mia vita fisicamente e socialmente, ora sono forte e capace di prendermi cura della mia famiglia. Ora sto contribuendo a salvare le vite d’altri pazienti, sono sempre felice di lavorare con Dream e di far sapere al mondo che noi siamo figli di Dio, che ci amiamo e ci prendiamo cura l’uno dell’altro e che essere sieropositivi non è una sentenza di morte, ma l’inizio di una nuova vita con Dream.

La mia gratitudine andrà sempre alla comunita’ di Sant’Egidio che mi ha formato come VCT counselor. Porto avanti il mio lavoro in alcune maternità situate nei centri di salute di Blantyre, con lo scopo di testare le donne incinte e prevenire la trasmissione da madre a figlio. In seguito, le donne vengono al nostro centro e seguono i protocolli Dream. Durante la gravidanza, il contatto con Dream è un’occasione importante, le donne sono incoraggiate a fare il test, con l’assicurazione che se sieropositive, riceveranno il trattamento e con la speranza che potranno far nascere

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