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La questione dei farmaci e l’allarme per le donne al centro della Conferenza Mondiale sull’AIDS, in corso a Città del Messico
17
Ago
2008
17 - Ago - 2008



 

Ascolta l’intervista:

Quali sono, dunque, le priorità per affrontare la tragedia dell’AIDS a livello mondiale? Fausta Speranza lo ha chiesto a Paola Germano, impegnata nel programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio.

R. – La Conferenza di Città del Messico, a me sembra che rilanci le priorità e prima fra tutte quella del costo dei farmaci, che nel corso degli anni si è molto ridotto: l’utilizzo di generici, di farmaci prodotti in India e in Brasile hanno permesso di espandere la terapia a tante persone. E’ chiaro che questo, però, non è ancora sufficiente. Quello che io trovo giusto sottolineare, rispetto all’aggiornamento che si fa oggi alla Conferenza di Città del Messico, è di cercare di focalizzare l’attenzione non solo su una mera distribuzione ed espansione dei farmaci, ma anche sul discorso della coscientizzazione dei pazienti. I problemi relativi all’ADIS non possono essere soltanto relativi alla distribuzione dei farmaci, ma si deve arrivare a proporre un modello per riformare i sistemi sanitari dei Paesi più colpiti. Tanto più che l’ADIS, come tutti sappiamo, non è soltanto un problema sanitario: è anche un problema sociale, economico, demografico che ha un peso piuttosto grande sui Paesi. Bisogna fare un lavoro di educazione sanitaria di base e ciò soprattutto nei Paesi più poveri, dove questo è fortemente necessario. Va poi fatto un discorso di appoggio nutrizionale alla terapia, perché non si può dare terapia senza dare da mangiare alle persone; ma al tempo stesso è necessaria una coscientizzazione soprattutto delle donne. Le donne sono molto importanti per l’Africa – ma credo poi che questo discorso riguardi anche altri continenti – rappresentano il fulcro della famiglia ed attraverso di loro passano tanti messaggi, che possono essere anche l’occasione per cambiare delle abitudini ed anche per renderli più coscienti di quanto la loro vita possa essere diversa.

D. – In questo mondo globalizzato del 2008, tutte queste priorità poi si scontrano con problemi, con ostacoli. Quali sono i maggiori ostacoli a livello internazionale?

R. – A livello internazionale quello che noi abbiamo notato nell’esperienza di questi sette anni del nostro programma "DREAM" in Africa è che c’è un errore di pianificazione di quello che è il mercato di farmaci e degli annessi – parlo per esempio dei reagenti di laboratorio, di apparecchiature – da parte delle grandi industrie che producono questo tipo di cose si sono trovate un po’ improvvisamente senza la possibilità di rispondere alla domanda del mercato. Probabilmente l’espansione del trattamento non era prevista in modo così diffuso e così veloce. Deve essere continuativa, non si può sospendere, non si può andare incontro a rotture di stock: questo vuol dire programmi per chiunque lavori con l’AIDS in questi Paesi, ma vuol dire anche programmi meno efficaci.

D. – Rimanendo proprio in Africa dove è attivo il vostro programma “DREAM”, lanciato nel 2002 dalla Comunità di Sant’Egidio. Quali sono in questo momento gli obiettivi?

R. – Siamo presenti in dieci Paesi africani e sono arruolate nel nostro programma 64 mila persone. I nostri obiettivi sono anzitutto quelli relativi alla trasmissione verticale: è quindi necessario lavorare molto sulle donne in gravidanza affinché nascono bambini sani. Questo è il nostro obiettivo fondamentale, ma non vuol dire che non curiamo altri malati e quindi il marito o gli altri eventuali figli della stessa donna. Sicuramente, però, il nostro obiettivo è quello di riuscire a far nascere una generazione sana. In Africa sarà, infatti, impossibile curare tutti quelli che sono malati di AIDS, ma riuscire a far nascere una generazione sana vuol dire dare anche un futuro a questi Paesi. Al tempo stesso però vogliamo riuscire a rendere gli africani protagonisti di questo tipo di programma che abbiamo così diffuso in Africa e questo – in alcuni Paesi dove abbiamo cominciato prima come il Mozambico o il Malawi – è già così. Per noi è molto importante la formazione del personale sanitario e non sanitario, affinché il programma venga gestito da loro. Molto importante, secondo me, in questa battaglia contro l’AIDS è sottolineare l’aspetto di prendersi cura di tutta la famiglia: se in una famiglia c’è anche solo una persona malata di AIDS, questo vuol dire la distruzione di tutta la famiglia. Per noi è molto importante condividere questo senso forte della Chiesa, del ministero della Chiesa di aver cura di tutta la famiglia nella sua interezza e prendersi quindi cura non soltanto di chi deve ricevere le medicine, ma anche di provvedere al sostentamento nutrizionale di tutta la famiglia, di occuparsi del fatto che tutti i bambini siano iscritti a scuola. Dare loro un futuro!

da: http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=222949

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