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Osservazioni sull’importanza e sul rilievo della diagnostica da laboratorio nel quadro del programma DREAM
21
Gen
2009
21 - Gen - 2009



DREAM ha sempre dato grande rilevanza alla diagnostica avanzata dell’infezione da HIV/AIDS e delle patologie correlate, così come al monitoraggio della terapia con antiretrovirali.

Il quadro clinico di un paziente affetto da HIV si compone infatti, oltre che delle osservazioni cliniche effettuate dal medico, anche della sua situazione virologica e di quella immunologica, così indicativa della progressione della malattia. Spesso in Africa ci si limita alla visita medica, o a semplici analisi del sangue – l’emocromo o al più la conta delle cellule CD4 – e ci si basa su tale dato per impostare un’eventuale linea terapeutica. Non così in Occidente, dove le analisi richieste ai laboratori indagano sugli aspetti sopra citati ed in particolare si occupano di monitorare la cosiddetta carica virale. E dove si seguono con attenzione gli effetti della terapia nel tempo, sia per quello che riguarda la sua potenziale tossicità, sia per valutare la sua efficacia nel ridurre il numero di copie virali nel sangue. Curare l’AIDS senza controlli di laboratorio non è praticamente possibile. 

Per questo ogni centro DREAM è sempre collegato ad un laboratorio di biologia molecolare come supporto specifico al servizio di diagnosi e cura dell’HIV. E’ stato ed è, tutto questo, un tratto davvero distintivo dell’intervento di DREAM in Africa. Il laboratorio è sempre stato considerato la condizione necessaria, pur se non sufficiente, per impiantare la terapia in una determinata località. Al di là delle difficoltà, anche logistiche (i laboratori presuppongono una fornitura d’elettricità costante, etc.), che tutto ciò implicava. Per DREAM si è trattato di dare seguito, procedendo in tal modo, alla scelta non negoziabile di introdurre in Africa gli stessi strumenti diagnostici utilizzati nel resto del mondo, mettendo da parte ogni logica minimalista ed afropessimista.

Oggi i laboratori DREAM in Africa costituiscono una rete di riferimento utile non solo ai nostri centri ma agli stessi sistemi sanitari nazionali dei paesi in cui il programma è presente. Un punto di non secondaria importanza, quest’ultimo, non soltanto per le ovvie ricadute positive in termini di salute, ma anche perché proprio la sinergia dell’attività diagnostica dei laboratori DREAM con la sanità pubblica si è rivelato un fattore decisivo per l’impianto del programma in alcune determinate situazioni. 

Tanto per fare un esempio, guardando le cose da una prospettiva storica, DREAM si è aperto un varco in Mozambico agli inizi degli anni Duemila proprio grazie ad un accordo con il governo sui laboratori e sul loro utilizzo. È stata un po’ – questa opportunità che si offriva, questa chance che si intravedeva – la chiave del compromesso siglato con le autorità sanitarie di quel paese africano, sin’allora convinte (al tempo prevalente anche fra gli organismi internazionali) della prevenzione come unica risposta possibile ed efficace all’epidemia di AIDS e che la triterapia seguita in Occidente non fosse da loro molto praticabile, quanto meno su larga scala. E però la consapevolezza di poter disporre con DREAM di laboratori che fossero centri di diagnostica avanzata si configurava come qualcosa di particolarmente attrattivo per i Mozambicani, che intuivano il valore degli stessi come fattore di sviluppo. E passò così, insieme ai laboratori, anche l’idea dell’inizio del programma, dell’avvio della triterapia antiretrovirale.

Per DREAM, comunque, il laboratorio era importante soprattutto perché direttamente connesso con la terapia. Non era possibile prescrivere in maniera seria e responsabile delle linee terapeutiche se non impiantando contestualmente dei laboratori che permettessero un monitoraggio delle stesse, un controllo degli eventi avversi e quant’altro. Ne andava dell’efficacia della terapia medesima; ne andava della vita della gente; ne andava, infine, della ratio fondamentale che era stata alla base della nascita di DREAM, ovvero l’dea di realizzare un’uguaglianza effettiva di opportunità fra Occidente e Africa. 

C’è una resistenza diffusa sul tema del laboratorio, in Africa che DREAM non condivide, ed è fortemente convinto che il laboratorio e l’implementazione delle sue performances possano e debbano essere la chiave per entrare in una dimensione che unisca al tempo stesso prevenzione, cura, eccellenza e ricerca operativa.

L’eccellenza, per DREAM, è soprattutto l’idea di avere uno standard, uno solo. Di non avere cioè pazienti di “serie A” (in Occidente) e di “serie B” (altrove), un paradosso ed un pericolo non peregrini, non astratti, se è vero che la “forbice” nel trattamento tra pazienti europei e pazienti africani si va allargando, non restringendo. Se è vero – com’è vero – che mentre le più recenti linee guida dei paesi europei prevedono addirittura un test d’ingresso per individuare le resistenze primarie tra i pazienti sieropositivi curati all’interno dei nostri sistemi sanitari nazionali, ovvero si introduce il test genotipico per verificare se un malato soffra o no di una potenziale intolleranza all’Abacavir, in Africa si discute ancora se effettuare o meno le cariche virali.

Ecco quindi che la battaglia di DREAM per la carica virale è anzitutto una battaglia di uguaglianza, per ridurre a un solo standard di cura le procedure relative al contrasto dell’AIDS, e questo ovunque si abbia avuto la fortuna o la sfortuna di nascere nel mondo.

Ma un secondo punto su cui sembra importante in questo contesto insistere è la crescente consapevolezza che anima DREAM che il laboratorio può essere un’insostituibile opportunità di ricerca operativa. Il che significa – e ha significato in tanti momenti della storia di DREAM – allargamento delle conoscenze, miglioramento dei percorsi terapeutici, innalzamento della qualità del trattamento, aumento delle possibilità di sopravvivenza dei pazienti, etc.. 

Si può fare l’esempio della maggiore tempestività DREAM di fronte a un fallimento terapeutico ed alla necessità di passare ad una seconda linea di farmaci antiretrovirali. Grazie all’utilizzo del laboratorio, agli operatori sanitari DREAM è possibile effettuare un cambio di terapia al momento più opportuno, ovvero quando ci si trova davanti a un fallimento della terapia riscontrabile in termini virologici, mentre in genere in Africa si aspetta il fallimento clinico. Ma è noto a tutti che, quando si è in presenza di un fallimento clinico, il paziente è già andato incontro a un peggioramento importante delle proprie condizioni di salute ed il virus ha probabilmente acquisito non solo e non tanto resistenze parziali, bensì resistenze trasversali a intere classi di farmaci.

Grazie al laboratorio, a DREAM si è imparato – e questa è una novità piuttosto recente – che la risposta virologica ai primi sei mesi di terapia è una risposta importantissima. E’ il dato più importante, più prognostico, più significativo per il futuro del malato, quello che predice meglio il successo ed il fallimento, il decesso e quant’altro. Si è imparato – e questo già da qualche tempo – che la terapia antiretrovirale seguita per nove mesi (i tre pre-parto e i sei post partum durante i quali la madre allatta) da parte delle donne in gravidanza mantiene la carica virale bassa nel sangue della puerpera per i tre anni successivi all’interruzione della procedura. Si sono imparate tante cose e tante se ne continuano ad imparare. 

Per DREAM l’aiuto umanitario è anche sviluppo. Spesso ci si lamenta – e giustamente – di quanto l’AIDS abbia distrutto, impoverito, fatto trascurare, in tante realtà africane. Ma contrastare un’epidemia si può tradurre anche in uno sforzo di miglioramento complessivo della risposta sanitaria di un paese, soprattutto se tale sforzo è avviato con intelligenza e correttezza di mezzi e di procedure.

Si prenda, ancora, il caso del Mozambico. Quando, a fine anni ’90, una missione DREAM ha effettuato il suo primo sondaggio esplorativo, non c’era alcun ospedale in tutto il paese in cui si potesse fare la conta dei globuli rossi in modo automatico. Era tutto fatto col microscopio. E poi le banche del sangue non davano alcuna garanzia di sicurezza, e tutto il sistema diagnostico era farraginoso, inaffidabile, senza capacità di manutenzione, senza una infrastruttura di tipo logistico. In realtà sono stati proprio i laboratori DREAM ad essere in Mozambico il motore di un nuovo modo di affrontare i fenomeni clinici ed epidemiologici (non soltanto per quel che concerne l’AIDS: le analisi di tipo biochimico permettono di controllare una serie di funzioni vitali molto importanti, e di curare patologie meno complesse di quelle derivanti dall’HIV). Oggi i laboratori mozambicani sono uno dei segni evidenti della grande trasformazione che il paese ha conosciuto. Anche se 8-9 anni non sono molti, non c’è confronto tra le capacità diagnostiche del sistema sanitario mozambicano nel ‘99 e quelle attuali. E nel frattempo c’è stata – e c’è ancora – un’epidemia di AIDS e decine di migliaia di morti. Ma c’è stato anche l’investimento in una sfida – non teorica, ma concreta, centrata su un sistema nazionale di laboratori di cui i laboratori DREAM sono l’asse portante – che si intuiva come una sfida di sviluppo. 

DREAM resta convinto che, per lo sviluppo dei paesi africani e dei loro sistemi sanitari, non bisogna aver paura di fare salti di tecnologia. Bisogna anzi favorire il fatto che quegli stessi sistemi possano utilizzare tecnologie appropriate. Le tecniche di biologia molecolare possono essere la chiave per tanti ulteriori sviluppi, che ancora non possiamo immaginare; per studiare di più, per capire di più. Del resto anche DREAM si è trovato a sviluppare dei fili che non erano prevedibili all’inizio.

E’ in questa direzione che si muove anche il nuovo laboratorio DREAM per lo studio delle resistenze, recentemente inaugurato a Blantyre (Malawi), come un altro sviluppo interessantissimo nel segno dell’eccellenza. Pare fossero cinque in Africa, finora, i laboratori per il monitoraggio delle resistenze, di cui solo due aperti ai comuni pazienti (gli altri fanno ricerche per enti e compagnie farmaceutiche). Quello di Blantyre – e quello, di prossima apertura, di Maputo, sempre DREAM – sono invece a disposizione di tutti i malati e vogliono candidarsi a rappresentare l’orgoglio di quei paesi e dei loro operatori sanitari, non solo l’orgoglio di DREAM. Perché la ricerca dell’eccellenza ha tra i suoi tanti effetti anche quello di restituire orgoglio e motivazioni a tanti.

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