HomeDREAMDiscorso di Jane Gondwe, attivista DREAM a Blantyre, Malawi, alla conferenza “L’Africa senza AIDS – Solo un sogno?”, tenutasi in Germania, a Bonn, lo scorso 20 maggio
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Giu
2009
07 - Giu - 2009



Mi presento: mi chiamo Jane Gondwe, sto per compiere 37 anni, ho un figlio ed altri cinque parenti.
Sono andata a fare il test per l’HIV all’inizio del 2001 e sono risultata positiva insieme a mio marito, che poi, sfortunatamente, è morto nel giro di tre anni.
Le cose hanno cominciato a mettersi male per noi, dopo la sua morte, ed abbiamo persino dovuto lasciare la casa che lui aveva appena comprato. Ed è andata ancora peggio alla fine del 2005, quando mi sono ammalata seriamente e ho perso il lavoro che avevo come insegnante in una scuola privata. Mi hanno licenziato perché stavo male, ma anche se fossi stata bene alla fine mi avrebbero licenziata perché discriminavano tutti coloro che erano ammalati di AIDS.


In quel periodo stavo a casa senza aver nulla da fare, oppure venivo ricoverata in ospedale. Ero disperata e aspettavo solo di morire.
E però successe che una mia vicina, che era paziente DREAM, si preoccupasse di come stavo e mi proponesse di andare insieme al centro. Era la prima volta che sentivo nominare DREAM.

Quando varcai la porta del centro cominciai a pensare che forse c’era ancora speranza per me. Ricordo ancora la calda accoglienza che ho ricevuto dagli operatori DREAM. E da quell’accoglienza deriva anche il fatto che poi avrei iniziato a lavorare volontariamente come attivista. Avevo scoperto sulla mia pelle l’importanza di coinvolgere i pazienti, avevo capito che questo modo di fare aiuta a raggiungere dei buoni risultati clinici, dà speranza. Perché spesso, invece, l’ AIDS è vissuto come una condanna a morte.
Invece io avevo ritrovato la mia dignità ed avevo capito il valore della vita. Avevo riecuperato la mia energia ed avevo ricominciato ad occuparmi della mia famiglia. Nella mia esperienza il punto di forza di DREAM è l’amicizia tra coloro che sono pazienti, l’esempio e l’incoraggiamento che si ricevono da chi già sta meglio. Le medicine da sole non sono sufficienti.

Ogni paziente che viene al centro trova un amico; possiamo perfino dire che è come se il paziente finisse per avere un parente al centro. E questa è la forza che non dobbiamo mai perdere, è la prospettiva che non dobbiamo mai abbandonare. L’amicizia di certo non può sostituire le medicine, ma è comunque essenziale per una terapia riuscita.
Il paziente ha bisogno di parlare, di essere ascoltato. Un rapporto di rispetto, disponibilità ed amicizia va stabilito con il paziente. Ed è grazie ad entrambe le cose che ricevono – alla dedizione professionale e all’approccio caldamente amicale – che i nostri pazienti possono vincere la rassegnazione e restare fedeli alla terapia.
Ma ancora più importante rispetto a quello che ho appena detto è il ruolo degli attivisti, che costituiscono gli occhi e gli orecchi di un centro, e fungono da braccia e da gambe dei pazienti.

Gli attivisti sono i più adatti a cogliere i problemi e le richieste di coloro che giungono al nostro centro di salute, perché mantengono un contatto estremamente prossimo ai pazienti stessi. A tal punto che, se quel contatto si interrompe, gli attivisti si preoccupano di recuperarlo, di riannodarlo, andando a cercare chi ha smesso di venire, andando a verificare difficoltà ed impedimenti.
Non solo. L’educazione sanitaria – condotta dagli attivisti prevalentemente, ma non esclusivamente, grazie al libro Come va la salute?, tanto nello stesso centro DREAM, quanto nelle città e nei villaggi circostanti – permette di creare un legame particolare con i malati perché fornisce al paziente qualcosa di cui ha molto bisogno, informazioni semplici e dirette sul suo stato di salute, sulle medicine che sta assumendo, sugli appuntamenti a cui è andato o andrà incontro.
In effetti l’educazione sanitaria è qualcosa che cambia la vita della gente. Facendo educazione sanitaria abbiamo scoperto che noi possiamo conquistarci l’interesse, il rispetto e l’attenzione di molti pazienti.

Chi sono io oggi? Innanzitutto sono una persona che deve grande gratitudine alla Comunità di Sant’Egidio per avere dato avvio al programma DREAM in tante parti dell’Africa. Sono orgogliosa di essere stata tra le prime attiviste di questo Programma in Malawi, dove la diffusione della pandemia si accompagna allo stigma ed alla discriminazione, e di dare il mio contributo per aiutare tanti malati.

Sono una donna che sente le responsabilità che ha. Ho imparato molte cose – attraverso DREAM, grazie ai corsi di formazione panafricani organizzati dal Programma – a proposito dell’HIV e della sua trasmissione, nonché a proposito della nutrizione umana, ed ora posso aiutare meglio gli altri.
Lavoro come coordinatrice e counselor, e mi preoccupo che il lavoro degli attivisti e quello di tutto il centro procedano bene. Collaboro anche nel somministrare la terapia a coloro che non hanno una buona aderenza e faccio counseling alle madri per prevenire problemi di malnutrizione.
Chiedo alle donne in terapia, che hanno appena partorito figli sani, non sieropositivi, di portare spesso i loro bambini al centro. Li pesiamo e facciamo loro dei controlli finché non hanno 18 mesi. Ci preoccupiamo che crescano bene e che non siano sottopeso, perché spesso, in Africa, i bambini muoiono prima di avere un anno di vita, quando non mangiano abbastanza, ed allora si indeboliscono e si ammalano più frequentemente degli altri bambini di malaria, di infezioni respiratorie, di diarrea.
Insieme ad altri attivisti abbiamo fondato il Movimento Io DREAM, un movimento costituito da sieropositivi e sieronegativi che vuole aiutare coloro che giungono ai centri DREAM per essere curati. Abbiamo dato vita ad una sorta di rete che coinvolge tantissima gente.

Del resto il nostro lavoro non si limita ai centri DREAM. Ci impegniamo nel nostro quartiere o nel nostro villaggio, su un piano sociale e relazionale. Perché sappiamo ciò che è possibile fare per contrastare l’epidemia di AIDS. Andiamo in giro, ad informare la gente, a renderla cosciente delle possibilità che ora sono disponibili, ed anche ad incoraggiare i malati che hanno già iniziato a seguire la terapia, ad offrire loro supporto psicologico e sostegno all’aderenza.
Per tantissime donne che sono state profondamente ferite dall’esclusione e dallo stigma nel periodo in cui erano malate e non avevano accesso alla terapia il Movimento ha costituito un’occasione fondamentale di reinserimento nella vita attiva, è stato un modo di raggiungere nuovamente un’autosufficienza economica, di vedersi restituite cultura e dignità. Molte donne ritornano a lavorare proprio come attiviste, trovano senso e forza nell’aiutare gli altri, contribuiscono attivamente a trasmettere una coscienza ed una mentalità nuove, rivoluzionarie.

Oggi, con l’estendersi ed il radicarsi di DREAM in diversi paesi africani, il ruolo degli attivisti si è fatto via via sempre più pubblico. Invitate a parlare a dibattiti televisivi, a trasmissioni radiofoniche, intervistate dalle maggiori testate nazionali, chiamate a svolgere lezioni o a dare testimonianza di fronte a uditori sempre numerosi, le attiviste rivelano la grande forza di cambiamento che sempre il rinascere della speranza libera in un essere umano. Ed in tanti, ascoltando parlare con forza, convinzione, competenza, uomini e donne con titoli di studio speso minimi, hanno finalmente preso consapevolezza di problemi fino ad allora relegati in un angolo oscuro del dibattito nazionale.

Sono molto contenta del titolo scelto per questa conferenza: ‘Un’Africa senza AIDS è solo un sogno?’. La mia risposta è no.
Ma questa è anche la risposta della gente, dei malati. Ecco perché i pazienti ci esprimono con fiducia le loro necessità, ovvero la speranza in un futuro di nuovo possibile. La speranza in una nuova pienezza di vita.
Per tanti, infatti, al di là di un presente di difficoltà e di debolezza c’è da scoprire un grande potenziale di risorse di impegno e di coinvolgimento, di speranza e di coraggio, non soltanto per se stessi, ma per un intero popolo cui sono stati tolti anni e vita.
Grazie ad alcune ONG – inclusa la Comunità di Sant’Egidio – che si sono comportate in maniera pionieristica, aprendo la strada ad un diverso approccio nei confronti dell’AIDS, la gente e tutta la società civile hanno cominciato a cambiare mentalità.

I governi africani erano piuttosto preoccupati del fatto che mettere in atto dei programmi di cura contro l’AIDS avrebbe richiesto molto sforzo, molte risorse e molti soldi, così come avveniva in Occidente. Era considerato impossibile finanziare adeguatamente le terapie antiretrovirali. Anche per questo finivano per circolare l’idea che gli antiretrovirali fossero pericolosi per la salute o quella che l’aglio poteva essere un rimedio adeguato per evitare l’infezione. Le autorità sanitarie africane scelsero così di investire tutti i loro sforzi sulla sola prevenzione. Anche i migliori governi africani hanno avuto paura di affrontare seriamente il problema AIDS. E però in tal modo l’epidemia si è estesa. E però in tal modo la gente ha sentito solo una confusa minaccia su di sé, senza soluzioni, ed ha iniziato a pensare che non ci fosse rimedio alla malattia. Si è iniziato a rifiutare ed emarginare i malati, visti come un pericolo da cui stare alla larga, e si è avuto perfino paura di fare il test.
Per questo il mio grazie va alla Comunità di Sant’Egidio, perché ha avuto l’idea di dar vita ad un progetto che insieme pervenisse e curasse l’AIDS cominciando dal Mozambico, perché ha avuto l’idea di unire prevenzione e cura.

E poi per un altro motivo. Un problema molto grave è quello che l’Africa ha grandi risorse umane, ma queste risorse sono poco formate professionalmente, hanno poco modo di mettere alla prova e migliorare le proprie competenze, e quindi sono spesso poco in grado di rispondere alle nuove necessità dei trattamenti sanitari. Ebbene, invece, grazie a DREAM, medici e paramedici europei vengono volontariamente in Africa per aiutare e formare meglio i loro colleghi africani, facendo in modo che conoscenze e abilità passino in Africa, attraverso la formazione professionale di medici, tecnici di laboratorio, coordinatori di day hospital. In maniera che l’Africa possa camminare sulle sue proprie gambe già nell’immediato futuro.

Sì, un’Africa senza AIDS non solo un sogno, è già la realtà.
Sono molto contenta di essere qui in Germania e voglio continuare a lavorare per il mio paese, in modo che possa un giorno essere anch’esso come qui. Sento che Dio ha un suo disegno a che ha amato molto la mia vita. Sento che mi sta chiedendo di aiutare il mondo.

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