HomeDREAMMilano, Italia – Forum della Cooperazione Internazionale: L’intervento del Prof. Leonardo Palombi
03
Ott
2012
03 - Ott - 2012



Riportiamo l’intervento del Prof. Leonardo Palombi al Forum Nazionale della Cooperazione, nell’high level panel dal titolo "Eccellenze ed innovazioni italiane per la cooperazione" :

«Desidero qui testimoniare una delle eccellenze italiane in un campo a mio avviso di importanza assolutamente strategica per quel che riguarda la cooperazione: la salute. Non tanto e non solo per i risvolti umanitari e le dimensioni globali di questo problema, quanto per la capacità di agire, attraverso le appropriate connessioni, su tutto il quadro dello sviluppo dei paesi a risorse limitate. Mi riferisco in particolare al programma DREAM – Drug Resource Enhancement against AIDS and Malnutrition, inaugurato e gestito sin dal 2002 dalla Comunità di Sant’Egidio per la lotta contro l’AIDS e la malnutrizione. Sono un epidemiologo, ordinario presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata, ma oggi sono qui nella veste che più mi onora, quella di coordinatore scientifico di DREAM. DREAM si è preso cura in questo decennio, di oltre 170,000 sieropositivi, in 10 paesi africani, attraverso 32 centri di salute e 20 laboratori di biologia molecolare, quasi tutti realizzati all’interno dei sistemi sanitari. La brevità del tempo a mia disposizione non mi permette di raccontare questa storia nei dettagli ma vorrei attrarre la vostra attenzione su alcuni aspetti di questo intervento che hanno avuto ricadute globali di grande importanza.

Primo: DREAM, nato apparentemente come un programma verticale, orientato ad aspetti eminentemente legati alla salute e per di più ad una specifica patologia, si dispiega da subito come un intervento di protezione e di advocacy dei diritti umani, ad esempio i diritto a ricevere le cure appropriate. Lo fa all’interno di un vasto movimento internazionale che nel giro di 12 anni abbatte il paradigma per cui l’unica azione possibile per l’AIDS nei paesi poveri dell’Africa Sub-Sahariana era la prevenzione: chi ha potuto partecipare al convegno mondiale di luglio 2011 della International AIDS Society a Roma ha sentito ripetere quasi come un mantra che la terapia è prevenzione. Le evidenze scientifiche in questo senso sono ormai imponenti ma su questo tornerò. Ebbene, DREAM ha giocato un ruolo pionieristico di grande rilevanza proprio in questo senso. Ha cioè contribuito ad aprire una via possibile per i trattamenti con antivirali che ad oggi salvano la vita ad oltre 5 milioni di africani. Dunque diritto alle cure per una malattia che altrimenti è letale nel 100% dei casi. Lavorare per la salute è anche un grande intervento per altri diritti umani, come ad esempio la inclusione delle donne e la loro piena partecipazione ai processi di cura: sono ormai oltre 4,000 le volontarie o le salariate che sostengono DREAM in alcuni aspetti strategici: la educazione sanitaria alla pari, la tutela dei malati nel loro percorso di cura, la sensibilizzazione della società ai temi dello stigma e della conoscenza della malattia. Le ricadute sociali e oserei dire anche politiche di quello che è diventato un vasto movimento di opinione all’interno delle società civili africane sono incalcolabili. Sappiamo però con certezza che la democrazia non vive di solo stato e di sole istituzioni ma respira con i polmoni della società civile!

Secondo: DREAM ha svolto una funzione di catalizzatore di rete delle risorse economiche e umane facendo da ponte fra nord e sud del mondo. Se il primissimo intervento è stato reso possibile dalla Cooperazione italiana in Mozambico, molti altri attori si sono aggiunti nel corso degli anni: agenzie internazionali, cooperazioni europee, ma anche banche, assicurazioni, privati donatori, professionisti in vari campi che hanno prestato gratuitamente la loro opera. Il fronte della public private partnership è, a mio modesto avviso, una chiave di volta per il futuro della cooperazione. Ma ancora: DREAM ha coniugato in modo originale un intervento umanitario con la ricerca scientifica cosiddetta operational, orientata cioè a trovare soluzioni idonee di contesto adatte a legare le conoscenze di base con gli aspetti operativi propri dell’intervento. Mi spiego meglio: il programma di cui vi parlo ha avuto una sua propria produzione scientifica di grande rilevanza che ha permesso, ad esempio di dimostrare – primo al mondo- che la tripla terapia non solo previene la trasmissione nel nascituro dell’infezione, ma che consente l’allattamento al seno in sicurezza. Vi ricordo solo che i nati da madri sieropositive hanno circa il 40% di possibilità di infettarsi entro il primo anno di vita e che ancora oggi oltre 300,000 bambini si infettano ogni anno in Africa. La rete scientifica di DREAM coinvolge ricercatori di università italiane, europee e statunitensi, oltre naturalmente ad una miriade di operatori locali. Chi vi parla siede da anni nei comitati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e collabora alla definizione delle linee guida per la pandemia da HIV/AIDS. Riassumendo: DREAM opera al centro di una rete a 4 dimensioni: attori del nord e sud del mondo, partnership pubblico privato, intervento umanitario e ricerca operativa, istituzioni e società civile.

Terzo: Ownership, sostenibilità e sviluppo. Coniugo questi 3 termini davanti a 3 interrogativi che spesso i miei interlocutori pongono: davvero DREAM rispondeva alle priorità dei paesi coinvolti? Non è incredibilmente costoso questo programma a fronte delle limitate risorse disponibili in Africa? Rappresenta un contributo vero allo sviluppo? Vorrei dire che ovviamente DREAM ha negoziato con ogni paese il suo intervento, rispettoso delle volontà politiche nazionali e trovando ampio consenso, ma anche consentitemi di arricchire il senso della ownership aggiungendo il termine democratica. La proprietà dell’intervento appartiene certo ai rappresentanti politici ma deve essere estesa alle istanze sociali dei diversi gruppi, delle vittime: per il contadino mozambicano già infetto dal virus la politica esclusivamente preventiva del suo governo non era una risposta appropriata. La madre sieropositiva e vedova coltivava la preoccupazione per i propri figli. Gli oltre 20 milioni di sieropositivi rappresentano una intera nazione africana e sono portatori di istanze che devono essere ascoltate. A differenza di altre patologie come la malaria o la tubercolosi, o condizioni come la malnutrizione, l’AIDS è l’unica grande epidemia che ha avuto la forza di fermare la crescita dell’attesa di vita in Africa Sub-Sahariana e addirittura in molti casi di invertirla. Proprio come è accaduto per la Seconda Guerra Mondiale. Non si doveva tenere conto anche di questo? Io credo che un dialogo dinamico rispettoso di un concetto esteso di ownership sia ciò che ha portato a forzare i limiti del paradigma sulla prevenzione e a dare risposte audaci ma concrete per tutti. Sulla sostenibilità vorrei dire solo due cose: mi ricordo che in Mozambico prima del 2000 non riuscivo a trovare un solo laboratorio con un apparecchio automatico per la conta dei globuli rossi effettivamente funzionante. Oggi nel paese sono numerosi i laboratori di biologia molecolare perfettamente funzionanti, a dimostrazione di come lo sforzo profuso dalle agenzie internazionali e dalle molte organizzazioni non governative abbia con successo liberato il paese da una condizione di grande arretratezza. Ma aggiungo anche un’altra cosa: tutti gli operatori medici, di laboratorio, informatici e tutti gli infermieri e operatori sociali che lavorano nei centri DREAM oggi sono africani. Sono cresciute competenze, conoscenze e cultura del lavoro in questo sforzo di accompagnamento ormai decennale e questa, a mio avviso, è vera sostenibilità. In conclusione una parola sulla interazione con lo sviluppo: Il trattamento universale, così come lo definisce l’OMS, riduce drasticamente l’occupazione dei posti letto ospedalieri per l’AIDS, che, in assenza di cure, si attesta intorno al 50%. Si tratta di una condizione evidentemente insostenibile. Ancora, gli antivirali non solo riducono le ingenti perdite di forza lavoro riscontrate prima del 2000 riducendo la mortalità, ma aumentano le ore di lavoro effettive dei nostri pazienti dal 25 al 75%, a seconda dei contesti e della progressione di malattia.
In sintesi: fare sistema – sistema Italia ma anche sistema globale- fare rete e fare democrazia concreta rappresenta una formula di successo ed il cuore delle lezioni apprese dentro questa affascinante storia di DREAM. Vi ringrazio per il vostro interesse. »

 

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