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Da vittime a protagoniste. Intervista alla mozambicana Artemisa Chiziane, attivista del Programma Dream
02
Gen
2013
02 - Gen - 2013



Alicia Lopes Araújo

Rivolgersi all’Africa con uno sguardo di speranza è possibile. Dream lo dimostra. Acronimo di Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition, dal 2002 è il programma della Comunità di Sant’Egidio per la cura dell’Aids in Africa. Il sogno è una nuova visione del continente, lontana dagli stereotipi e dall’afropessimismo. Questa volta per l’Africa è stata scelta l’eccellenza delle cure, adottando standard occidentali. Il programma è gratuito, proprio per superare l’estrema difficoltà d’accesso per le popolazioni ai centri di salute e ai farmaci. Il i° dicembre, in occasione della ricorrenza della giornata mondiale contro l’Aids, Benedetto XVI ha lanciato un appello in favore di quanti sono colpiti da questa malattia, in particolare dei bambini che ogni anno contraggono il virus dalle proprie madri, sebbene esistano terapie, per impedirlo. La prima esperienza concreta di Dream è stata realizzata in Mozambico, divenendo un modello praticato efficacemente in altri Paesi dell’Africa sub-sahariana: Angola, Camerun, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Malawi, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo e Tanzania. Dream ha cambiato significativamente la vita a molti pazienti, in particolare donne, coinvolgendoli direttamente nella diffusione del programma. In Mozambico un gruppo di donne sieropositive ha fondato l’associazione «Donne per il sogno». Artemisa Chiziane è una protagonista di questo sogno.

Quando e in quale occasione ha conosciuto il centro Dream?

Era il 2005. Durante la gravidanza mi recai per una visita medica al centro di salute del mio quartiere, Matola 2. Dovetti sottopormi al test dell’Hiv, perché altrimenti non sarebbe stato possibile aprire la cartella clinica. Eravamo dieci donne: sette risultarono sieropositive, me inclusa. Non fu facile affrontare la notizia. Ero molto spaventata, ma non riuscivo a piangere, perché avevo già avvertito i primi sintomi della malattia, pertanto non ebbi alcun dubbio, quando mi comunicarono il risultato. Feci tutte le analisi presso il centro Dream e il medico decise che avrei dovuto iniziare immediatamente il trattamento antiretrovirale, la cosiddetta triterapia, per evitare la trasmissione del virus al mio bambino.

In cosa consiste il programma Dream?

Si tratta di un’azione completa di controllo, prevenzione e trattamento, cioè di lotta globale contro l’infezione da Hiv. Per la Comunità di Sant’Egidio è fondamentale il valore della persona e Dream nasce con l’obiettivo di riunire prevenzione e terapia farmacologica dell’Aids anche nell’Africa sub-sahariana, così come avviene in Occidente. Il principio è che non basta prevenire, ma è necessario salvare vite, mentre lo scopo della terapia per le donne in gravidanza è garantire una generazione libera dall’Hiv.

Perché proprio il Mozambico?

La Comunità di Sant’Egidio è storicamente e profondamente legata al Mozambico, per aver facilitato gli accordi di pace, firmati il 4 ottobre del 1992.

Quali sono le sfide principali che la Comunità di Sant’Egidio deve affrontare?

Il maggiore successo è stato far nascere diecimila bambini sani in Mozambico da madri sieropositive, come pure aver salvato le madri grazie alla terapia antiretrovirale. È come la mia storia. È necessario però che questo miracolo sia ancora possibile per tutte le madri sieropositive. Oggi la grande sfida è lavorare insieme al ministero della Salute, per donare questa speranza a tutti. Il modello va portato in tutte le province, così da aiutare le donne ad avere bambini sani. Bisogna salvare le madri specialmente nelle zone rurali, dove la popolazione non ha accesso ai farmaci e non dispone di ospedali di prossimità né d’informazioni adeguate. Le persone che tuttora si rivolgono ai guaritori, i curandeiros, se avessero informazioni corrette da parte delle attiviste di Dream, cambierebbero idea: le credenze possono cambiare, la mentalità può cambiare!

Come è nato il movimento delle attiviste e quanto è importante questa figura, a cui ha appena accennato?

Sono un’attivista molto orgogliosa di esserlo. Si tratta di un compito delicato, perché noi attiviste ci relazioniamo direttamente con i pazienti, lavorando in prima linea. Incoraggiamo e appoggiamo i malati e le loro famiglie! Andiamo nelle loro case, offrendo un servizio di orientamento su più livelli: nutrizione, igiene, corretta somministrazione e assunzione dei medicinali e sostegno psicologico. Garantiamo una presenza costante in tutti i centri Dream, per accogliere i malati che arrivano per la prima volta e devono iniziare la terapia antiretrovirale, infondendo forza e coraggio. Partecipiamo alle campagne di informazione sia nei quartieri sia nei luoghi di lavoro. Siamo l’esempio vivente che è possibile vincere la battaglia contro l’Aids.

Cosa ha imparato dalla sua storia personale e com’è cambiata la sua visione della vita? E quale ruolo svolgono la formazione e l’educazione?

Ho trovato energie nuove e una speranza che non avevo prima della malattia. Ho scoperto soprattutto la forza dell’amore che mi porta ad aiutare gli altri con senso di responsabilità, dedizione e disciplina. Ho imparato che gli antiretrovirali sono per me il sole del domani. Per quanto riguarda la formazione ogni anno noi attiviste frequentiamo un corso di aggiornamento. Credo inoltre che l’educazione sia fondamentale, non solo l’educazione sanitaria ma soprattutto l’educazione morale e civica, l’educazione personale, perché restituisce, promuove la dignità. Essere sieropositivi non significa la fine della vita.

In questo momento che lavoro svolge?

Sono la coordinatrice del centro nutrizionale di Matola. Il nostro centro è frequentato quotidianamente da circa ottocento bambini. Abbiamo anche un asilo, a escolinha, frequentato per lo più dai “bambini Dream”, nati grazie al programma. Nel nostro lavoro siamo coadiuvati da quegli adolescenti che avevano prima frequentato il centro e questo interscambio è molto importante per i bambini.

Che ruolo possono svolgere le donne mozambicane e, in generale, le donne africane nella lotta contro l’Aids? Come possono contribuire a cambiare il destino dell’Africa?

Noi donne siamo i pilastri della società in qualsiasi angolo del mondo. Ovunque siamo portatrici di vita e di speranza, ma il flagello dell’analfabetismo femminile in Africa rappresenta ancora uno dei maggiori freni allo sviluppo. Possiamo cambiare il nostro destino solo attraverso la conoscenza, l’istruzione, l’educazione dei figli e dei mariti, la formazione professionale e il lavoro. Secondo un vecchio proverbio africano: chi educa una donna educa una nazione!

Alla luce della sua esperienza che valore hanno la fede e la speranza?

Il valore della speranza è la vita che ho avuto finora. Non sarei viva, se non avessi avuto pazienza e fede. Il dialogo quotidiano che intrattengo con Dio mi conferisce la forza per aiutare gli altri.

Qual è il sogno di suo figlio più piccolo, Hilário?

Ha appena sette anni e per ora non parla di sogni, ma di certo ne fa. È nato sano grazie al programma Dream e mi auguro che possa studiare medicina, per poter aiutare le persone che soffrono.

Artemisa Chiziane, nata a Mandjakaze (Gaza) in Mozambico il 14 ottobre 1978, si trasferì da piccola con i genitori a Maputo a causa della guerra civile. Madre di cinque figli, il più piccolo dei quali, Hilário, è nato sano grazie al Programma Dream. Vive a Boane (periferia di Maputo) con i tre figli minori. Attivista del Programma Dream, è coordinatrice del Centro nutrizionale della Comunità di Sant’Egidio, a Matola (Maputo). Il suo desiderio è diventare infermiera.

3 gennaio 2013

Originale dell’articolo sul sito dell’Osservatore Romano :  qui

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