HomeDREAMContro l’emergenza HIV, per la vita delle madri e dei figli. Il Programma DREAM, un ponte verso il futuro dell’Africa
15
Apr
2013
15 - Apr - 2013



Intervista a Leonardo Palombi, Professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Direttore Scientifico del Programma DREAM

Il Programma DREAM promosso dalla Comunità di Sant’Egidio si concentra sulla trasmissione verticale dell’HIV tra madri e figli: qual è in generale la situazione dell’infezione da HIV in Mozambico e nell’Africa sub-sahariana?

La situazione della pandemia da HIV/AIDS in Africa, seppur con alcune luci, resta ancora drammatica. Secondo l’ultimo rapporto UNAIDS, su di un totale di 34 milioni di infetti nel mondo, ben 25,5 milioni, pari al 69%, appartengono a questo continente. Sono i Paesi dell’Africa australe ad essere i più colpiti ed il Mozambico non fa eccezione. Per dare un’idea dell’estensione del problema, ricordo che in Italia abbiamo attualmente circa 150.000 persone colpite dall’infezione, pari ad una percentuale dello 0–2%. In quel Paese la percentuale sale all’11% degli adulti, ovvero 55 volte tanto. In pratica, un adulto su 9 richiede cure antivirali per tutta la vita. Un aspetto particolarmente doloroso della malattia è costituito dal fatto che la trasmissione dell’infezione avviene anche per via verticale, ovvero durante la gravidanza, il parto e l’allattamento. Ogni anno in Africa sono circa 1,4 milioni i casi di gravidanza in donne infette da HIV, con la conseguente infezione di ben 350.000 neonati. In Mozambico ancora nel 2011 erano 27.000 i bambini infetti alla nascita.
 
Quali conseguenze ha la condizione di sieropositività sulla salute della madre e del neonato? In che misura le madri sieropositive sono a maggior rischio di mortalità da parto?
Si stima che senza cure appropriate solo la metà dei bambini che sono stati infettati per via verticale raggiungeranno il secondo anno di vita. Una vera e propria strage. Accanto a questo dato di per sé drammatico occorre poi aggiungere che le madri sieropositive vedono aumentato il rischio di decesso in gravidanza e al parto a valori inaccettabili. Basti pensare che oltre il 90% delle morti materne – circa 250.000 all’anno – avviene in Paesi in Via di Sviluppo. Le donne africane pagano il tributo più pesante dal momento che la metà di questi decessi si verifica in territorio sub-sahariano. Si calcola che il contributo dell’AIDS a questo fenomeno si collochi tra il 20 ed il 40%. In pratica,un decesso materno su 3 è imputabile al virus dell’HIV. Possiamo immaginare poi le ricadute sull’intero nucleo familiare: la donna è davvero la colonna della famiglia africana e la sua scomparsa rappresenta un rischio concreto per la sopravvivenza di tutti gli altri figli.
 
Quali sono le strategie terapeutiche adottate nel progetto e quelle che si sono rivelate più efficaci nell’impedire la trasmissione verticale madre-figlio?
Il Programma DREAM ha concentrato molti dei suoi sforzi di ricerca ed intervento sulla possibilità di prevenire sia la trasmissione verticale che il decesso materno con un appropriato intervento farmacologico, educativo e nutrizionale, che ha avuto grande successo e riconoscimenti dalla comunità scientifica. Abbiamo dimostrato per primi che è possibile allattare al seno sotto adeguata terapia farmacologica e alcuni nostri studi hanno evidenziato una sostanziale riduzione della mortalità materna attraverso l’utilizzo combinato di farmaci antivirali in gravidanza e per un anno dopo il parto.
 
Dal punto di vista medico quali sono i risultati ottenuti attraverso questo approccio in termini di riduzione della mortalità materna e controllo dell’infezione?
Posso affermare che la trasmissione madre-bambino ad un anno, nell’esperienza di DREAM, si riduce dal 40% al 2-3% e i decessi materni vedono una flessione pari ad almeno il 70% di quelli osservati in donne senza terapia.
 
Quali sono i risultati sullo stato di salute complessivo delle comunità coinvolte?
Un intervento olistico come il nostro, mirato dunque a una completezza ed integrazione degli interventi, consente di acquisire risultati che vanno oltre il semplice controllo della pandemia. Ad esempio l’educazione sanitaria migliora i comportamenti in molti campi: dall’alimentazione alla cura dei bambini, dalla consapevolezza dei meccanismi di malattia alla fiducia nelle istituzioni sanitarie. DREAM finisce per avere un significativo e positivo impatto anche su altre patologie, come ad esempio la tubercolosi o la malnutrizione infantile. Abbiamo poi dimostrato come l’estensione della cura rappresenti un vero e proprio intervento preventivo, capace di ridurre in modo sostanziale nuovi casi di infezione.
 
Quali sono i possibili sviluppi del Programma e il suo impatto a lungo termine?
Il valore strategico del Programma DREAM consiste nel rappresentare un modello di successo che combina efficacia e sostenibilità. Adesso occorre trasfonderlo all’intero Sistema Paese in Mozambico. Si tratta di una operazione complessa che richiede di estendere e moltiplicare il modello senza degradarne le qualità. Sono convinto che il supporto di MSD sarà un contributo straordinario per realizzare questa operazione, con evidenti ricadute sulle capacità professionali del personale sanitario, sulla possibilità di accesso a cure efficaci per la popolazione rurale e periferica, per la protezione di una intera generazione di giovani madri e dei loro figli in una delle aree più colpite dell’Africa sub-sahariana.
 
Come nasce la partnership con MSD?
La partnership con MSD è di lunga data e nasce dall’attenzione che l’azienda ha dedicato sin dal 2005 al Programma DREAM. Allora il nostro intervento in Africa aveva bisogno di molto personale espatriato che formasse e seguisse i primi centri in Mozambico e Malawi ed è su questo fronte che abbiamo potuto collaborare per la formazione dei formatori. Anche grazie al contributo MSD posso affermare che una delle chiavi della sostenibilità di DREAM oggi è costituita dal fatto che la gestione dei centri di salute e dei laboratori è ormai interamente affidata a personale africano, mentre i nostri espatriati, su base totalmente volontaria, mantengono funzioni di monitoraggio e coordinamento.

 

Vedi anche la seguente video intervista:

 

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