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È targato Italia l’ospedale che combatterà l’Aids in Tanzania
08
Mar
2009
08 - Mar - 2009



di Roberto Fabbri
nostro inviato a Arusha (Tanzania)

da www.ilgiornale.it

«Mi chiamo Loveness Taoko e ho 11 anni. Nella mia famiglia siamo due figli, mio fratello e io. Mio fratello ha 14 anni e vive a Moshi con il nostro nonno. Io vivo con la zia, perché la mia mamma è morta di Aids nel 2005 e non ho avuto la fortuna di conoscere mio padre. Nel 2008 ho scoperto di essere sieropositiva. Da allora sono entrata nel programma Dream a Usa River per curare il virus dell’Aids. Qui ricevo ottime cure e anche aiuto alimentare. Ora mi sento bene perché prendo le medicine, mattina e sera. Vorrei studiare tanto per diventare avvocato… E mi piacerebbe sposarmi e avere due bambini, se Dio mi benedirà. Con rispetto e onore chiedo a voi ospiti di aiutare i malati che vivono col virus dell’Aids, soprattutto le mamme e i bambini. Così potranno stare bene e studiare e avere un futuro e diventare persone brave e responsabili».
Con queste parole semplici e toccanti Loveness, minuta e graziosa, capelli corti e occhioni nerissimi, si è rivolta alla delegazione italiana al seguito del viceministro Adolfo Urso, in visita in Tanzania e presente alla cerimonia della posa della prima pietra di quello che sarà un vero e proprio ospedale per la cura dell’Aids reso possibile dalla dedizione della Comunità di Sant’Egidio. A Usa River, qualche decina di chilometri da Arusha ai piedi del Kilimangiaro, esiste già un centro medico e di assistenza che offre diagnosi e cure a una comunità flagellata dall’Aids. Ma qui è un grande giorno perché vengono inaugurati due servizi preziosi: il laboratorio biomolecolare e il servizio di telemedicina collegato con l’ospedale San Giovanni di Roma, dotato di elettrocardiografo. Strutture che permettono di applicare ai pazienti tanzaniani lo stesso livello di cure che viene garantito in Italia.
L’obiettivo principale del progetto è soddisfare il sogno di Loveness: che non nascano più bambini malati di Aids. E questo è possibile, perché somministrando alle donne incinte un’adeguata terapia antivirale la carica di virus nel loro sangue scende così drasticamente da impedire che al momento del parto avvenga il temuto contagio; e queste donne grazie alla stessa cura sono perfino in grado di allattare i propri bambini in sicurezza.
La parola Dream (sogno in inglese) è in realtà l’acronimo di Drug Resources Enhancement against Adis and Malnutrition, ovvero la sigla del programma che Sant’Egidio ha realizzato per la lotta all’Aids nell’Africa subsahariana attraverso l’implementazione delle risorse farmaceutiche contro Aids e malnutrizione. Un programma che il governo italiano sostiene pienamente, perché lo considera parte integrante della propria azione in Paesi come la Tanzania, dove intende affiancare ai necessari aiuti umanitari una mirata politica di sostegno economico attraverso l’intervento delle imprese italiane, con l’obiettivo di ottenere vantaggi per entrambe le parti.
"Dream" è cominciato nel marzo 2002 in Mozambico, e oggi è operativo in dieci Paesi africani. Un bellissimo risultato si possono considerare i 7000 bambini nati sani da madri malate di Aids, con altre duemila gravidanze simili attualmente sotto controllo

 

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