HomeDREAMIO Donna – «Così aiuto le donne malate di Aids a partorire bimbi sani»
19
Set
2015
19 - Set - 2015



Incontro con Jane Gondwe, responsabile del Centro Dream della Comunità di Sant’Egidio, che assiste i malati di Aids in Malawi e in altro Paesi dell’Africa

di Emanuela Zuccalà

fotojaneA soli 29 anni, Jane sentiva la vita scivolarle via dal corpo e dall’anima. Era il 2001. Il test dell’Hiv le aveva dato un responso lapidario: positiva, come suo marito, che è morto poco dopo. Lei sopravviveva ma si spegneva lentamente: aveva perso il lavoro di insegnante perché una donna sieropositiva, allora, era considerata un’appestata, e si ritrovava a occuparsi da sola del figlio e di altri bambini di famiglia resi orfani, anche loro, dall’Aids.
Jane Gondwe vive a Blantyre, in Malawi, uno dei Paesi più poveri dell’Africa subsahariana, con il 10 per cento della popolazione affetta da Hiv. Ma lei, oggi, si sente più vigorosa che mai ed è un prezioso sostegno per tutti coloro che ancora leggono nel test positivo una condanna a morte. Prima paziente, poi volontaria, oggi è responsabile del Centro Dream della Comunità di Sant’Egidio, che assiste i malati di Aids a Blantyre, come in altri 10 Paesi africani, gratuitamente.

“Non ci limitiamo a fornire le medicine” spiega Jane, che domenica 20 settembre sarà a Milano, a raccontare la sua storia di tenacia e speranza nella sede della Comunità di Sant’Egidio.Una parte fondamentale della terapia è la relazione umana: le persone che vengono al centro si sentono sole e abbandonate. Il clima di amicizia li aiuta ad accettare la malattia e li spinge a impegnarsi per seguire la terapia antiretrovirale nel modo più corretto”. Jane parla a tutto il suo Paese, attraverso la radio e la televisione, convincendo la gente a sottoporsi al test e a non aver più paura dell’Aids.
Oltre le metà dei pazienti che incontra al Centro Dream sono donne e madri, e lei si rispecchia in ognuna di loro: “Spesso i mariti non accettano il responso del test, le rifiutano, e noi cerchiamo di aiutare queste famiglie a restare unite. Ma le donne sono molto forti: seguono le cure con coscienza perché pensano ai figli, vogliono stare meglio in fretta per occuparsi di lo4ro. E quando sono incinte, cominciando la terapia al terzo-quarto mese, ormai nella maggior parte dei casi mettono al mondo bambini sani. Alle madri in trattamento rivolgo anche consigli per prevenire la malnutrizione: chiedo loro di portare spesso i bambini al centro, per pesarli e sottoporli a check-up fino all’età di 18 mesi e assicurarci che non siano sottopeso. Spesso in Africa i bambini muoiono prima del compimento del primo anno di vita perché non mangiano abbastanza, sono deboli e dunque più esposti alla malaria, alle infezioni respiratorie e alla diarrea. Malattie che possono rapidamente causare la morte in bambini così piccoli”.

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