Telemedicina in Mozambico: un successo di cooperazione e sviluppo sanitario
di Michelangelo Bartolo.
Pubblicato dal sito quotidianosanita.it
Gentile Direttore, a differenza del caldo che avvolge l’Italia dormo avvolto da due ampie coperte e se accendo il condizionatore è solo in modalità “riscaldamento”. Dall’altra parte dell’equatore, con il fuso orario identico, l’inverno accarezza l’Africa.
Sono qui per dare l’avvio ad un ambizioso programma di telemedicina finanziato dall’AICS, Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo che vede coinvolte in una sorta di “raggruppamento di imprese” alcune delle realtà più solide impegnate nella cooperazione sanitaria con i paesi africani: DREAM di Sant’Egidio, i medici con l’Africa CUAMM e l’Associazione Italiana per la Solidarietà tra i Popoli, AISPO. Capofila, l’università di Sassari. Partner locale il Ministero della Salute mozambicano, ovviamente.
Certo, non è il primo programma di telemedicina che si realizza in Africa. La Global Health telemedicine, onlus che a settembre compirà 10 anni di vita, ha già all’attivo 49 centri di telemedicina in 12 paesi africani che trasmettono a medici europei decine di teleconsulti al giorno afferenti a ben 29 branche specialistiche. Un ponte rodato che, oltre a fornire indicazioni diagnostiche e terapeutiche di livello, ha generato una rete di vicinanza e una sorta di formazione continua in centri sanitari nelle zone più remote dell’Africa.
Ma il programma che in questi giorni sta muovendo i primi passi ha una particolarità tutt’altro che irrilevante. E’ sempre un programma di teleconsulto con modello Hub-Spoke, ma questa volta l’HUB non è rappresentato dalle strutture di eccellenza italiane, ma saranno gli stessi specialisti locali a rispondere ai teleconsulti provenienti dai dispensari e dagli ospedali rurali della provincia di Maputo e di Sofala.
Il modello organizzativo, l’esperienza nel campo dei servizi di telemedicina nel nostro paese e le recenti linee guida sulla telemedicina Italiane, sono stati senz’altro il substrato e il Know how dai quali siamo partiti.
In questi giorni ho partecipato a numerosi incontri al Ministero della Salute Mozambicano e discusso le idee di massima del progetto con il direttore scientifico dell’Ospedale di Maputo, i referenti dell’Università di Medicina mozambicana ed altri stakeholder locali. Non si tratta, infatti, di esportare il nostro modello, peraltro improponibile tout court (in Mozambico non esiste il Fascicolo Sanitario Elettronico; lo SPID è per lo più qualcosa di sconosciuto, ecc) ma di progettare, a partire dalla nostra esperienza, un programma di telemedicina che possa far tesoro dei tanti errori già compiuti in Europa e partire con un progetto pilota che ha poi l’ambizione di diffondersi a livello nazionale.
I servizi di Teleconsulto e di Telerefertazione (collegamento tra un sanitario richiedente e uno specialista refertante) sono stati quindi i modelli concordati con le autorità sanitarie locali. Abbiamo pertanto sconsigliato, almeno inizialmente, di implementare servizi di televisita o telemonitoraggio che, come è noto, implicano un coinvolgimento attivo dei pazienti che, a nostro avviso, è qualcosa ancora di prematuro per gli standard locali.
Certo la connettività è, specialmente nelle aree rurali, il problema principale da affrontare e per questo si è deciso di utilizzare una piattaforma non solo Web ma anche con un applicativo locale che possa garantire il funzionamento anche off line. Anche questa è una caratteristica tutta africana non contemplata nei servizi di telemedicina europei.
In questi giorni si discute a diversi livelli del piano Mattei per l’Africa, con un’attenzione centrata non solo sulle problematiche migratorie ma anche sullo sviluppo locale. Forse anche i servizi di telemedicina possono entrare appieno in questa forma di cooperazione che, oltre ad offrire aiuto concreto, possono aprire anche opportunità di sviluppo per tante eccellenze italiane. Penso. solo per fare un esempio, alla diffusione di medical device e di piattaforme di telemedicina che rappresentano sicuramente un’eccellenza tutta italiana.
Con questo programma il Ministero degli Esteri, attraverso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo, ha tracciato una linea in questo senso. Mi domando: non sarà forse una strada da perseguire anche da altri Ministeri (penso al ministero della Salute o al Ministero delle imprese e del Made in Italy) o dalle Regioni italiane?
Moltiplicare programmi di Cooperazione non è solo un dovere etico ma può divenire una chance di sviluppo anche per il nostro paese.